La 1º rivista digitale nata in Italia sulla tecnica del Carpfishing – 2011-2024
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Zig al naturale

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Le carpe sono sempre le stesse, la loro struttura fisica ed i loro conseguenti  comportamenti istintivi talvolta non cambiano molto da habitat a habitat, e ciò forse significa che anche le tecniche per insidiarle non differiscono più di tanto.

                                          

Non è sempre vero che le carpe che vivono in cave o ambienti spazialmente più circoscritti conservino abitudini ed attitudini completamente differenti rispetto alle sorelle che nuotano in grandi laghi naturali. Partiamo dalla considerazione che il loro corpo e la loro struttura è pressoché identica, indi per cui anche molte reazioni ed istinti derivanti indissolubilmente da questa lo devono conseguentemente essere. In questa breve trattazione vi porteremo con noi in una nostra sessione di pesca che ci ha aperto gli occhi e ci ha convinto a livello pratico di quanto poco fa affermato.

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Non solo sul fondo

Quante volte abbiamo visto i pesci saltare sopra le nostre canne o nelle dirette vicinanze dello spot senza però sentire i nostri avvisatori suonare o riuscire a catturarle? La cosa che fino a qualche anno fa ci appariva particolarmente strana negli ultimi anni ci è stata chiarita grazie alla pratica della tecnica dello zig-rig, ma soprattutto grazie alla spiegazione del “perché” sia necessario utilizzarla per catturare i pesci in alcune stagioni, situazioni e bacini. Il fatto che le carpe vivano e stazionino prettamente in prossimità dei fondali rimane una teoria valida, ma al contempo relativa: in alcuni momenti i nostri amici ciprinidi vivono meglio in altri stati della colonna d’acqua. Ci sono giornate, condizioni atmosferiche, concentrazioni particolari di ossigeno che spingono le nostre amiche ad “alzarsi” dal normale habitat del fondale e a trasferirsi in strati più superficiali dove istintivamente stanno meglio e ritrovano una sorta di migliore condizione di benessere fisico. Questo particolare istinto e comportamento poco o nulla ha a che vedere con esigenza di ricerca di cibo o nutrimento, bensì sembra essere totalmente motivato da quanto poco fa descritto. Di norma tutto ciò avviene nelle stagioni e giornate più calde, ma attenzione poiché non è sempre e solo così in quanto può accadere che anche ad inizio primavera o in altre stagioni i pesci siano portati ad occupare strati diversi della colonna d’acqua poiché è lì che “stanno meglio”. La fascia di profondità ideale, per temperatura ed ossigenazione, viene chiamata linea del termoclino. Molto è stato scritto a riguardo della tecnica dello zig rig, ideale per catturare le prede in queste circostanze, ma poco o nulla si è sentito dire a riguardo del suo potenziale utilizzo al di fuori di cave ed acque private dove la stessa può portare rapidi e più visibili frutti. Noi ci abbiamo provato ed ha funzionato! 

 

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Tecnica zig rig

Non intendiamo dilungarci moltissimo a riguardo di particolari tecnici sui quali molto si è scritto e discusso, bensì, oltre ad una panoramica generale del tutto, intendiamo in questo inizio di capitolo asserire che è una tecnica che può piacere o meno, che per alcuni può essere forse discutibile, ma di sicuro è un metodo che porta i suoi frutti nelle situazioni poco sopra descritte. La regola generale per insidiarle sembra quella dei “tre quarti”: se ci sono 10 mt di profondità, rilevabili con un marker o ecoscandaglio che sia, andremo a realizzare un terminale in fluorocarbon da circa 7 mt, poiché con ogni probabilità sarà lì che avremo le maggiori soddisfazioni in termini d’abboccate. Con un’altra canna ci preoccuperemo di pescare un po’ più basso o più in alto per cercare d’intercettare il branco o per trovare la profondità di stazionamento ideale in quella precisa giornata di pesca ed in quelle specifiche condizioni. Per questi lunghi terminali si utilizza il fluorocarbon a bassissimo peso specifico, sia per le sue caratteristiche d’invisibilità sotto il pelo dell’acqua sia per la rigidità che ci permette di lanciare e calare terminali così lunghi con un rischio bassissimo d’aggrovigliarli. Come abbiamo detto, le carpe in questi momenti hanno relative esigenze di nutrimento ma sono incuriosite da tutto ciò che di particolare si trova attorno a loro: sono solito innescare spugnette bianche ma anche combinazioni foam gialle/nere, la tanto famosa “apetta”. Il colore delle nostre trappole andrà selezionato e deciso a seconda delle condizioni atmosferiche e della luce presente, in modo da creare il giusto contrasto e attirare la curiosità delle nostre amiche. In questa fase sarà opportuno creare hair rig relativamente corti dove le nostre esche saranno adiacenti e molto attaccate alla curva dell’amo, in quanto molto spesso le carpe andranno quasi a mordere e non più ad aspirare i nostri inneschi. Per non parlare dell’autoferrata, pressoché assente a causa della lunghezza dei nostri terminali. Tuttavia, se è vero che inizialmente in queste situazioni i ciprinidi non sono alla ricerca forsennata di cibo, è altrettanto vero che molto spesso dovremo cercare d’attirarli più vicino possibile ai nostri inneschi, soprattutto se stiamo pescando in bacini ampi. Non è una cosa poi così difficile in quanto, già alle mie prime esperienze con questa tecnica, mi dilettavo grazie a composizioni create con un mix di pan grattato, latte in polvere e biscotti macinati, il tutto addizionato a sciroppi fluorescenti come i Syr-up di casa Reactor Baits, disponibili in diverse aromatizzazioni e colori. Il tutto al fine di creare una piacevole nuvola d’interesse sia gustativo/aromatico che cromatico in cui le carpe spesso finiranno in frenesia per poi anche sulla nostra trappola. Ad oggi le pasture dedicate a questa tecnica sono moltissime ed anche molto tecniche: quasi tutte fluorescenti o colorate in modo da creare un distacco con il colore dell’acqua ed una nuvola cromatica interessante. I vari Reactor Method, sempre di casa Reactor Baits, faranno di sicuro al caso nostro.

 

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Sorprese in acque libere

Forse non mi aspettavo una resa tale pure pescando in acque libere, e per la precisione in un grande lago naturale. Il clima era instabile e il pesce risultava davvero apatico, notavo qualche salto nella mia zona di pesca ma le catture stentavano ad arrivare, sia da me che dai miei vicini di postazione. Dopo qualche giorno, in preda allo sconforto, ho deciso di provarci anche se con me non avevo tutto il materiale tecnicamente necessario alla realizzazione e alla pratica perfetta di questa tecnica. Poco importa, perché dopo essermi riaccertato della profondità del fondale, ho realizzato un lungo terminale ed innescato una piccola pop up da 15 mm gialla fluorescente, e mi sono preoccupato di lanciare più vicino   possibile rispetto ai salti ed alle sgallate che ogni tanto avvistavo. Un aspetto un po’ rischioso di questa tecnica è il fatto che con terminali così lunghi, e spesso relativamente sottili al fine d’ingannare al massimo la vista delle baffute negli strati più superficiali, si rischia di perdere qualche pesce causa la rottura del filo stesso. Questo può avvenire soprattutto nei bacini naturali dove gli ostacoli di norma sono maggiormente presenti rispetto a cave ed acque private. Ciò significa lasciar andare pesci con lunghi spezzoni di fluorocarbon che possono anche essere letali per le loro vite. E’ per questo che, durante queste esperienze in laghi naturali, mi preoccupo di utilizzare un fluoro di altissima qualità come lo Zero Fluorocarbon della Smart, ma soprattutto uso dei diametri medio/alti al fine di salvaguardare un po’ la sicurezza dei ciprinidi stessi. Insomma, rischio di vedere una partenza in meno ma di guadinare un pesce in più senza il rischio di metterne a repentaglio la vita. Ma tornando alla mia sessione, dopo aver lanciato mi sono preoccupato di sbriciolare un po’ di boilies e di addizionarle con abbondante acqua e con il Syr-up verde fluorescente al Mango di casa Reactor, e di lanciare il mio composto con lo Spomb in prossimità degli inneschi. Risultato una decina di pesci per i seguenti tre giorni di pesca ed anche molto grossi, che hanno lasciato me ed il mio socio a bocca aperta ma soddisfatti di aver trovato la soluzione corretta in una sessione che si stava mostrando alquanto piatta. Una cosa molto simile è capitata a Sebastiano anni addietro in un lago estero durante una lunga sessione d’inizio estate. Mi raccontò che, dopo aver avvistato grandi branchi di carpe a lunga distanza da riva, tentò la fortuna calando un lungo terminale con la barca proprio in prossimità dell’attività dei pesci che stazionavano a circa 200 mt da riva. Alla fine il risultato fu anche in quel caso super soddisfacente in termini di catture e si concluse con il “salvataggio” da un probabile cappotto che si scorgeva all’orizzonte. L’operazione di preparazione dalla barca di una simile strategia è ancora più difficile e delicata che non da riva, ma soprattutto, se siamo costretti ad utilizzare un terminale di lunghezza maggiore o uguale a quella delle nostre canne da pesca, dobbiamo assicurarci di poter recuperare il pesce solo ed esclusivamente da riva una volta che questo abboccherà, in quanto il tentativo di farlo dalla barca sarà quasi impossibile, forse fantozziano e addirittura pericoloso sia per noi che per il pesce stesso. Se decidiamo quindi di farlo e di recuperare i pesci da riva, assicuriamoci il più possibile che tra noi e la nostra esca non ci siano grandi ostacoli o impedimenti che ci creino evidenti problemi e definitive rotture della lenza.

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Apertura mentale

Nelle righe che abbiamo letto fino ad ora abbiamo potuto apprezzare per certi versi quanto la struttura fisica delle carpe sia identica indipendentemente da dove vivano, così come le relative esigenze. Sembra proprio che in certe situazioni le nostre amiche siano portate a seguire la linea del termoclino, sia che si tratti di cave, piccoli bacini o grandi laghi naturali. Per ciò che concerne più nello specifico l’abbandono dei fondali e lo spostamento negli strati più superficiali, forse l’unica eccezione considerabile è quella dei fiumi, soprattutto quelli caratterizzati da corrente medio/sostenuta. Detto questo, la scelta di provare ad utilizzare la tecnica dello zig-rig rimane personale e sempre opinabile, particolare e di sicuro molto impegnativa, ma ciò che è certo è che in certi casi porterà sicuramente i suoi frutti. Ci teniamo a ripetere, vista la particolarità relativa alla lunghezza dei terminali, di accertarci prima di tutto di non mettere a repentaglio la salute e l’integrità delle nostre amiche, per il resto riteniamo che ogni tecnica, cambiamento, dettaglio che ci porterà a risolvere situazioni difficili e apparentemente impossibili potrà essere unicamente considerato come una grande soddisfazione ed un’indubbia crescita personale all’interno della nostra passione.

Testo e foto di Christian Corradini e Sebastiano Brunelli -sotto concessione di Carp&Catfishing-

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